Ogni domenica una zebra si sveglia, e sa che dovrà correre più in fretta del biscione o verrà uccisa. Ogni domenica un biscione si sveglia, sa che dovrà strisciare più veloce della zebra o morirà di fame. Quando le luci dello stadio Olimpico di Torino si illumineranno, non importa se sei una zebra o un biscione, l’importante è che cominci a correre.
Mancano poche ore al fischio d’inizio di Valeri per Juventus-Inter. Il grande classico, o derby d’Italia, è sempre una partita speciale. Per la storia delle squadre, per quella rivalità che mai come oggi è un’emozione viscerale nella pancia di entrambe le tifoserie. Complice il 2006, l’anno di Calciopoli, dello scudetto revocato alla Juve appena retrocessa in B e cucito sulle maglie nerazzurre. Uno smacco che i sostenitori bianconeri non hanno dimenticato.
Ma l’eterna sfida Juve-Inter, una partita da vivere prima sugli spalti che in campo, ha origini molto lontane.
Ritorniamo a uno dei più famosi derby d’Italia, o almeno uno di quelli degni dell’etichetta che Gianni Brera, qualche anno dopo, decise di incollare su questa partita. Era il 10 giugno 1961: quel giorno si giocò la ripetizione di una partita che il giudice sportivo aveva inizialmente assegnato a tavolino all'Inter per invasione di campo da parte dei tifosi bianconeri. L’allora patron nerazzurro Angelo Moratti, padre dell’attuale presidente Massimo, per protesta contro la decisione della Figc fece schierare in campo la primavera dell’Inter. Risultato? 9-1 per i bianconeri. Omar Sivori siglò 6 gol, di cui uno dal dischetto, eguagliando nella stessa gara il record di reti in una singola partita che già apparteneva a un certo Silvio Piola. Unica marcatura nerazzurra, forse un segno del destino, quella di Sandro Mazzola. Aveva appena 19 anni, di lì a poco sarebbe diventato la bandiera intramontabile dell’Inter. Tanti altri derby d’Italia si sono rincorsi, fino ad arrivare agli anni ’90. Quelli dell’intramontabile Juventus di Lippi e dell’Inter di Gigi Simoni. Il vaso di pandora, l’origine di tutti i mali tra le squadre, risale al Derby del 26 aprile 1998. A poche giornate dalla fine l’Inter ha l’occasione di sorpassare la capolista Juve e puntare dritta allo scudetto. Ceccarini decide di non concedere un rigore ai nerazzurri per un presunto fallo di Antonio Iuliano ai danni di Ronaldo. Sul rovesciamento di fronte Del Piero va giù in area di rigore interista e la Juve ottiene un penalty che lo stesso Del Piero sbaglia. Una vera e propria bufera in campo e fuori, una scia impressionante di polemiche ai danni della vecchia Signora, che nello stesso anni si laurea Campione d’Italia. In pochi ricorderanno, però, che nella stessa gara fu negato un rigore netto alla Juve per un fallo di Taribo West ai danni di Inzaghi e fu annullato un gol ai padroni di casa per fuorigioco inesistente. Ultima tappa dell’eterna bufera bianconerazzurra, il ciclone Calciopoli. Dalle rovine bianconere l’Inter ha costruito una corazzata formidabile, partendo dagli acquisti di Vieira e Ibrahimovic, uomini simbolo della Juve vincente di Capello. Uno scudetto revocato alla Juve e assegnato alla 3° classificata, cioè l’Inter, non poteva che aprire una voragine spaventosa tra le tifoserie.
Oggi, come in guerra, ci sono due trincee contrapposte: da una parte si sparano pallettoni al veleno, dall’altro accuse di complotti e spiate.
Ma un derby d’Italia, in fondo, non può che essere così. Una partita all’insegna dell’istinto animale che a volte il tifo risveglia. Come in una savana, dove una zebra e un biscione si fissano da lontano per giorni. Si studiano, tanto sanno bene che prima o poi si incontreranno. Mancano poche ore e ci risiamo. Buon derby d’Italia.
MARCO BORRILLO
Ma un derby d’Italia, in fondo, non può che essere così. Una partita all’insegna dell’istinto animale che a volte il tifo risveglia. Come in una savana, dove una zebra e un biscione si fissano da lontano per giorni. Si studiano, tanto sanno bene che prima o poi si incontreranno. Mancano poche ore e ci risiamo. Buon derby d’Italia.
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