Non è solo l'immigrazione la conseguenza più grave della crisi del Maghreb, e in particolare quella della Libia. Le principali compagnie petrolifere che operano sul territorio libico, tra cui l'Eni, hanno pianificato l'evacuazione dei propri impiegati, a causa della situazione interna al Paese ai limiti della guerra civile. Si prospetta quindi una vera e propria crisi petrolifera simile a quella degli anni '70, se si considera che la Libia detiene la più grande riserva di greggio in Africa.
L'Eni è il maggior produttore del settore energetico presente in Libia. In un comunicato diramato oggi dall'azienda, si spiega che è già iniziato il rimpatrio del "personale non essenziale" e delle famiglie degli impiegati. La compagnia energetica norvegese Statoil, che opera in Libia in una partnership con la spagnola Repsol e la francese Total, ha dichiarato che chiuderà i suoi uffici di Tripoli e che alcuni collaboratori stranieri sono già in partenza: "La sicurezza del nostro personale è la nostra priorità", ha spiegato il portavoce Bard Glad Pedersen.
Per molti anni la Libia è stata un oggetto misterioso per le maggiori compagnie petrolifere e dell'energia mondiali, a causa del suo governo anti-americano e ai legami con le organizzazioni terroristiche. Unica eccezione è proprio l'Eni, che opera nel Paese dal 1959. Ma l'economia italiana è legata alla Libia sin dall'avventura coloniale iniziata negli anni '10 del Novecento, e il Paese africano può essere considerato oggi come un vero e proprio pilastro della politica estera ed economica dell'Italia, come dimostra la partecipazione di capitali libici in Unicredit.
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